Blaise Pascal scrisse: “gli uomini sono così necessariamente pazzi che il non essere pazzo equivarrebbe a essere soggetto ad un altro genere di pazzia”.
Sentiamo spesso dire: “non devo andare dallo psicologo, non sono mica pazzo”. Quante volte hai sentito dire questa frase o ti è capitato di dirla?
Nonostante i grandi cambiamenti socio – culturali degli ultimi decenni alcuni retaggi sembrano ancora fare il capolinea nelle menti della maggior parte delle persone. La parola psicologo spaventa, irrigidisce, e l’idea di andare dallo psicologo genera chiusura, riluttanza, spesso vergogna.
In una cultura in cui vige ancora la convinzione della divisione mente – corpo siamo tutti pronti a prenderci cura del nostro corpo, lui è tangibile, si vede, e il dolore è lì, si percepisce e le ferite, spesso solchi nella pelle, non sfuggono allo sguardo di chi le osserva. Ma la mente invece, lei non si vede, non si tocca, si può nascondere, lei è il luogo oscuro della follia, della pazzia, dei gesti inaspettati e inspiegabili.
Ecco, oggi viviamo in una società che si definisce avanzata ma che non riesce a rinunciare a convinzioni troppo datate (come ad esempio il dualismo mente – corpo che risale all’epoca di Cartesio, o l’idea che lo psicologo curi i pazzi) e guardare oltre il proprio orizzonte.
Spostando la nostra attenzione altrove proviamo a mettere in luce alcuni dei principali atteggiamenti messi in atto di fronte a situazioni problematiche che nulla hanno a che fare con un piede rotto, una spalla lussata, un ascesso e così via.
Cosa facciamo generalmente quando percepiamo che qualcosa non va come vorremmo, siamo troppo tristi, abbiamo paure spesso agli occhi degli altri non giustificabili, ci sentiamo diversi dagli altri, proviamo emozioni alle quali non troviamo una spiegazione, facciamo cose che non avremmo mai pensato di fare?
Quali sono gli atteggiamenti più comuni di fronte a tutto questo? E quali sono i tuoi? Cosa fai tu in situazioni di questo tipo? C’è chi ne parla con un amico, c’è chi cerca di nasconderlo al mondo intero per paura di essere giudicato “non normale”, c’è chi cerca di allontanare i pensieri anche da se stesso. Ognuno di noi individua le proprie strategie e scorciatoie per trovare una soluzione alla sua forma di “disagio psicologico” ed è disposto a tutto pur di evitare di ammettere a se stesso e agli altri che lo psicologo, quell’uomo nero che crea tanto imbarazzo e vergogna, forse potrebbe essere una strada percorribile per affrontare ciò che sta vivendo e che nulla ha a che vedere con il benessere. Rimandare, evitare, negare sono sempre accompagnati da ragioni valide, da buoni motivi che la persona trova pur di non rivolgersi ad un esperto.
In una società che nega la sofferenza ammettere che ci sia qualcosa che non va e scegliere di farsi aiutare è spesso connotato come debolezza, come incapacità di farcela da soli.
E allora cerchiamo di convincerci che tutto andrà bene, che le cose si risolveranno da sole e che il tempo farà la sua parte e tutto passerà. Spesso quindi situazioni che potrebbero cambiare in pochi incontri vengono protratte per lungo tempo mantenendo la persona in quella situazione problematica dalla quale cerca di uscire battendo ripetutamente le uniche strade che in quel momento riesce a vedere.
Cosa potrebbe fare allora lo psicologo?
Di fronte ai così detti “problemi psicologici”, che a nostro avviso non possono essere separati dalle dinamiche relazionali e comunicative con se stessi e con gli altri, egli può rappresentare, per la persona, la coppia, la famiglia, l’occasione per mettere in luce le proprie risorse, le proprie modalità di attribuzione di senso e significato alle esperienze vissute, i copioni comportamentali agiti e che mantengono in piedi la situazione problematica, le proprie strategie adattive, con l’obiettivo di accompagnare (la persona, la coppia, la famiglia) verso prospettive funzionali alternative che possano favorire il ritorno verso una condizione di benessere generale (intrapersonale e interpersonale).