Autismo e comunicazione: parlare linguaggi diversi e capirsi

By 20 Aprile 2015 Per saperne di più
autismo e comunicazione

Il deterioramento del linguaggio e della comunicazione sono riconosciute come caratteristiche tipiche dell’autismo essendo presenti in tutte le persone autistiche. Il linguaggio è tradizionalmente considerato un fattore chiave nella prognosi dell’autismo e il livello delle competenze linguistiche e comunicative raggiunte dalla persona sembra influenzare la possibilità di miglioramento.
Dagli anni 80 in poi si è registrato uno spostamento dell’attenzione dal deterioramento del linguaggio a quello della comunicazione, considerando questo come il problema fondamentale. Nelle persone con autismo ambedue le forme, verbale e non verbale, sono compromesse nonostante le proprietà di linguaggio siano buone come nel caso di individui ad alto funzionamento. A questo punto quali divengono le nostre priorità? Affrontare i deficit di comunicazione o quelli legati al linguaggio? Le persone con autismo non sono prive di intento comunicativo, esse comunicano sempre, anche se dimostrano una limitata capacità di usare la comunicazione verbale servendosi, a volte, di significati comunicativi non convenzionali.

Sappiamo che i modi “autistici” di processare le informazioni sono molteplici e qualitativamente differenti rispetto a quelli degli altri. Tale diversità porta le persone con autismo a sviluppare molteplici stili cognitivi e modi per selezionare, concettualizzare, memorizzare e richiamare alla memoria le informazioni. Nelle interazioni con persone autistiche, spesso i “non autistici” rimangono disorientati dalla comunicazione apparentemente “bizzarra” che viene utilizzata. Ma ci siamo mai chiesti queste persone cosa pensano di noi? Cosa pensa, vede e vive un autistico nel momento in cui si relaziona con persone che non lo sono?

Partiamo dalla consapevolezza che la comunicazione non è un processo unidirezionale anzi essa si sviluppa attraverso un processo circolare co-costruito dalle persone in interazione.
Coloro che vengono definiti neurotipici hanno ancora molto da imparare sull’arte della comunicazione con individui che non conversano nello stesso modo, sia attraverso il linguaggio verbale che quello non verbale. Nell’autismo si parla di “deterioramento della comunicazione”. Ma cosa si intende con questa definizione? Si tratta di modi qualitativamente diversi per interagire, comunicare e processare le informazioni che non coincidono con quelli convenzionali. Partendo dal presupposto che le persone autistiche sono accomunate da differenti esperienze percettive rispetto agli altri, sembra naturale concludere che l’interazione tra queste persone richieda la costruzione di un linguaggio comune e condiviso attraverso il quale potersi capire.

Possiamo parlare di linguaggio anche nel caso di persone non verbali? La risposta è sì!
Ma che linguaggio possiamo parlare noi se esse non conoscono il verbale? E che linguaggio parla una persona autistica? Utilizzare il verbale con una persona autistica è come parlare una lingua straniera senza la consapevolezza che essa appaia tale, quindi incompresa a chi ci ascolta. E poi, sulla base di cosa pretendiamo di poter insegnare una “seconda lingua” a persone che sanno parlare la loro “prima lingua” a noi stessi sconosciuta?

Per precisare diciamo che la nostra prima lingua è per noi il linguaggio verbale mentre questo non coincide con le persone autistiche; infatti pare che il linguaggio verbale sia estraneo per le persone con autismo e non viene appreso naturalmente all’inizio della loro vita.

Quindi, cosa possiamo fare noi? Con l’obiettivo di creare un linguaggio condiviso necessario per poterci capire, certamente possiamo aiutarli a padroneggiare la “seconda lingua” non rinunciando però al supporto della loro “prima lingua”. Creare un linguaggio condiviso valorizzando le loro capacità è il primo passo per creare un canale comunicativo e uno spazio condiviso attraverso cui aumenta la probabilità di sperimentarsi reciprocamente capiti e compresi.
Imparare la loro prima lingua è fondamentale per sviluppare le nostre abilità e capacità di comprendere i loro messaggi.

I ragazzi con autismo incontrano spesso difficoltà a muoversi partendo da modelli sensoriali per giungere alla comprensione di funzioni e concetti. Per alcuni di loro con seri problemi di processazione sensoriale, il linguaggio verbale potrebbe essere percepito semplicemente come un rumore, che non ha nulla a che fare sia con l’interazione che con l’interpretazione dell’ambiente circostante. I concetti sensoriali sono letterali: ogni casa è “la” casa. Ogni cane è “il” cane senza riuscire a generalizzare quel cane e categorizzarlo come appartenente a una categoria più ampia; ad esempio se incontra un piccolo bassotto con una macchia bianca sulla testa, qualsiasi altro cane (anche se un bassotto ma con una macchia gialla) non può essere identificato con un cane per cui i due vengono considerati proprio diversi l’uno dall’altro.

Quindi, con quali modalità possiamo creare delle interazioni funzionali ed efficaci con persone con autismo?
Durante le prime fasi del nostro lavoro con un ragazzo con autismo non possiamo di certo imporre specifiche modalità comunicative che vogliamo che utilizzi. Partendo dallo scoprire quello che gli è più naturale si passa poi all’introduzione dei significati convenzionali utilizzati socialmente.
“Ascoltare” i suoi pensieri, interpretarli e poi “riassumerli ” in parole è un modo attraverso il quale aiutarlo a creare un collegamento tra parole e significati.

Solo in seguito, potremo insegnargli a usare un linguaggio verbale come se fosse un turista che all’estero decide di imparare la lingua del paese ospitante. Forse, grazie a un intervento precoce, potrà persino dimenticare la lingua madre e usare solamente quella straniera.