La scuola rappresenta oggi uno dei pilastri più importanti nella vita dei nostri figli. E noi genitori che ne capiamo l’importanza ci affanniamo a spiegarla a loro parlando di cultura, futuro, lavoro, impegno, dovere, fin dai primi anni della loro vita.
Vogliamo figli svegli, attenti, bravi, con un alto rendimento scolastico, dolci, gentili, comprensivi, partecipativi, responsabili, autonomi e chi più ne ha più ne metta. Chiediamo tanto a loro e lo facciamo forse perché noi non abbiamo avuto le loro stesse possibilità o forse perché noi ci siamo già passati e sappiamo che è una strada che tocca a tutti fare.
Viviamo in una società che insegna a fare a gara a chi è più bravo e allena alla competizione prima che alla cooperazione, una società che non fa i conti con quello che un bambino prova ma con il risultato ottenuto, una società che allena fin da piccoli a stare sotto pressione.
C’è chi vuole che il proprio figlio sia il primo della classe e chi accetta che sia nella media e ci crolla il mondo addosso quando gli insegnanti, alle volte con troppa facilità, ci convocano per dirci che forse nostro figlio ha dei problemi, e che sarebbe necessaria, ad esempio, una valutazione per capire se si tratta di quelli che oggi si chiamano DSA (disturbi specifici dell’apprendimento).
Ecco allora la corsa allo specialista, la somministrazione di test e l’avvio di un iter del quale non neghiamo di certo il valore ma che spesso potrebbe essere preceduto da altro.
Da un lato la velocità, la fretta di voler capire, sapere e dall’altro la facilità con cui oggi si attribuiscono etichette, spesso aprono la strada verso un’immagine identitaria di diversità che in alcuni casi potrebbe essere evitata e che porta con sé sensazioni, emozioni e vissuti dei quali spesso non siamo neanche a conoscenza. Con questo non stiamo mettendo in dubbio “l’esistenza” dei DSA, stiamo solo dicendo che forse alle volte è il caso di capire meglio quello che potrebbe esserci dietro il comportamento agito di nostro figlio, dietro le sue difficoltà e che una corsa ai test potrebbe essere preceduta da un colloquio con un esperto che prima di giungere all’etichettamento, cerca di mettere a fuoco con il bambino e i genitori se altre situazioni, comportamenti, vissuti, esperienze, possono essere legate alle difficoltà individuate e come, partendo da queste, poter intervenire.
Non possiamo forse fare molto nei confronti di una scuola che pretende determinati ritmi e rendimenti, di una scuola che utilizza un unico metodo di insegnamento per 20/25 bambini contemporaneamente, di una scuola affaticata e in difficoltà ma forse possiamo fare molto riguardo l’atteggiamento che noi genitori mettiamo in campo con nostro figlio.
Mettendo da parte i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, possono essere numerose le difficoltà che i nostri figli vivono rispetto alla scuola: dalla materia che non piace, a quella per la quale dice “non sono portato”, all’insoddisfazione che noi genitori proviamo, alla delusione per i risultati non raggiunti che viviamo noi ma alle volte anche lui, alla decisione di abbandonare gli studi, all’assenza di motivazione, all’incapacità di organizzare il materiale da studiare, all’assenza di autostima e autoefficacia e molto altro ancora.
Di fronte alle più svariate situazioni legate al contesto scolastico che ognuno può trovarsi ad affrontare con i propri figli, ci siamo mai chiesti cosa facciamo noi genitori? Come ci comportiamo? Quante volte facciamo alcune cose nonostante non conducano ai risultati attesi? Cosa facciamo per aiutare nostro figlio quando lo vediamo in difficoltà? Come ci poniamo con lui quando vogliamo convincerlo a studiare? E quando vogliamo consolarlo per una delusione? Cosa facciamo quando la scuola ci invita a portarlo da uno specialista o quando un test ha messo in luce alcune sue difficoltà?
Cari genitori, care mamme e cari papà, continuiamo a farci delle domande. Proviamo a partire da noi, dai nostri atteggiamenti, da quello che facciamo e quello che diciamo, da come lo facciamo e come lo diciamo. E proviamo ad abbandonare l’alibi del carattere, del “tanto lui è fatto così” del “tanto ormai è così e non si può più fare nulla” e apriamoci alla fiducia nella possibilità di cambiare.